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venerdì 19 Aprile 2024
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PD Umbria, Alessandro Torrini si candida a segretario regionale

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Riceviamo e pubblichiamo

“Questi ultimi giorni, per la politica umbra, sono particolarmente difficili. Per l’ennesima volta, per tante diverse ragioni, tutte legittime, la sintesi è difficile. Dopo oltre un anno di commissariamento e tutto ciò che è successo nel Partito Democratico, avrei ritenuto necessario e voluto un congresso diverso, un congresso straordinario, che azzerasse tutto, rifondativo, plurale e inclusivo. Non lo si è voluto fare”.

Siamo passati da un regolamento delle primarie aperte a tutti a un regolamento comunque competitivo e divisivo che non permette neanche agli addetti ai lavori di partecipare. Facciamo un congresso a novembre con iscritti bloccati al 31 gennaio. In questi mesi sta cambiando il mondo e noi continuiamo a credere che tutto ci ruoti intorno.

“E allora tolgo tutti dall’imbarazzo e, qualora trecento amici e compagni vorranno sostenermi, anticipo la mia autocandidatura. A 65 anni suonati, la mia sarà considerata una candidatura demodé, da alcuni sarà ritenuta velleitaria, ma la mia sarà unicamente la candidatura di chi vuole testimoniare il profondo disagio di chi ama la politica per la politica, la politica come strumento di trasformazione ed emancipazione. Mi candido, pertanto, per oppormi a chi, invece, la vuole relegare a ruolo subalterno, appiattita sulla governance, sempre più spesso a tutela di interessi particolari. Chi mi conosce sa che in politica agisco con il cuore e che concepisco la politica come passione; e non ci rinuncerò certo oggi che, libero da impegni, posso permettermi anche maggiore generosità. Auguro a tutti coloro che in queste ore si stanno spendendo per rendere questo congresso dignitoso, il mio buon lavoro, e che vinca il migliore”.

Sono nato il 25 aprile 1955 a Castiglione del Lago. Sono sposato con Marinella e padre di Giulia e Nicola.
Il mio titolo di studio è Perito tecnico industriale.
Dal 1976 al 1990 ho lavorato in Perugina, ricoprendo ruoli diversi.
Dal 1990 al 2020 ho lavorato in SUSA ricoprendo ruolo dirigenziale.
Ora sono pensionato.
Non ho mai ricoperto cariche istituzionali.

Dal 2008, anno in cui è nato il PD, abbiamo fatto quattro scissioni e cambiato sette segretari nazionali, di cui due hanno fondato due nuovi partiti. Se per risalire bisognava aver toccato il fondo, noi abbiamo iniziato anche a scavare. Al partito e al progetto costruito dal basso, abbiamo anteposto il progetto dell’individuo e continuiamo così, come se questi dodici anni tanto difficili non fossero mai esistiti. Non esistono più né suggestioni, né respiro per un nuovo paradigma di giustizia sociale; il governo per il governo, il governo come fine e non come strumento di trasformazione, emancipazione, libertà dal bisogno, redistribuzione di opportunità, beni e risorse. Ma la politica ridotta a gestione non basta più e la mediazione tra convinzione e compatibilità, a favore di quest’ultime, ci sta lentamente logorando.

Gli adempimenti prevalgono sull’azione e ci consegnano un Paese fermo che, per reazione, scivola sempre più verso il disincanto e l’avversione per la politica.

Come Sinistra ci siamo inariditi sui valori, abbiamo perso il popolo e il pensiero, ma la politica deve tornare a essere una missione, una vocazione, non un lavoro come sempre più spesso viene percepita. Il nostro partito, il PD, deve stare vicino alla sofferenza, dare voce al dolore e disinnescare la rabbia. Il rispetto della condizione umana deve influenzare tutte le nostre scelte, non è sufficiente il pietismo caritatevole, patrimonio della destra. Il partito è prima di tutto un agente culturale, con una visione e un progetto di società, ed è una comunità fondata su valori condivisi; senza questi due caratteri, un partito si riduce a essere una somma d’interessi elettorali. Dice qualcuno che il “partito è il luogo della passione organizzata e permanente”, non lo si poteva dire meglio!

E allora c’è bisogno di ricostruire il partito per tornare ad affermare valori che, se pur rapportati alla contemporaneità dell’oggi, non sono mutati e non cambiano nel tempo.

Non possiamo accontentarci di un congresso modesto come stancamente ci accingiamo a fare. Serve uno scatto d’orgoglio che dall’Umbria deve partire forte e chiaro, e arrivare fino a Roma. Un congresso fondativo, aperto, inclusivo e generoso. Proprio qui, nella regione dove il patto di fiducia tra politica di governo e cittadini è venuto meno in maniera più drammatica, dobbiamo rimettere al centro i nostri valori, la nostra idea di partito e di Paese, senza compromessi al ribasso, inutili alla nostra comunità e al partito stesso. Ultimamente sto ripetendo come un disco rotto di fare un congresso sul partito, il suo ruolo, la sua funzione nella società e, quindi, la sua organizzazione, la sua autonomia culturale e finanziaria, anche rispetto al livello istituzionale che lo deve permeare ma non utilizzare. Un partito quindi che torni a fare il partito.

La politica dovrebbe contribuire a trasformare un intellettuale in un dirigente e la gente comune in degli intellettuali.

Nel recente passato abbiamo toccato l’apice del narcisismo, ma il narcisismo esclude l’altro mentre la sinistra include l’altro. Si è voluto affermare un’idea proprietaria del partito: amici-nemici, noi-loro, facendo diventare la politica rabbia ed egoismo personale. L’umiltà di un politico viene considerata debolezza piuttosto che grandezza. Il partito deve, invece, tornare a essere incontro umano e fatica del confronto.

Gramsci diceva che “l’egemonia si costruisce sapendo cogliere gli elementi di verità che sono contenuti nella visione degli altri”.

Allora se vogliamo ricostruire un partito che sia attrattivo, che stia al passo con la società, che possa esercitare quindi un ruolo, abbiamo bisogno di selezionare e scegliere gli uomini e le donne migliori, persone inclusive e rispettose della dimensione umana, che si dedichino al partito con generosità e amore, senza presunzione e senza arroganza. Il merito dev’essere legato all’impegno, alla ricerca e allo studio. Dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi, ma umili per capire chi siamo; oggi siamo di fronte a tanti buoni a nulla, pronti a tutto.

Per avere un progetto è necessario partire da un desiderio e il desiderare si intreccia alla passione, ma anche alla speranza. Desidero il cambiamento e con passione provo a metterlo in atto. Non si realizza nessun cambiamento se tu non speri che ciò accada. Quando guardo una cosa, non vedo ciò che è ma ciò che potrebbe essere.

È forte in me la convinzione di lavorare per ricostruire un partito forte e organizzato, dotato di autonomia logistica e finanziaria, indispensabile al suo buon funzionamento, sia per l’attività più squisitamente politica che per quella burocratica e organizzativa; il proselitismo, la formazione, lo studio, la discussione e la comunicazione sono attività imprescindibili per la democrazia partecipativa e nulla deve poterle limitare.

Il partito è uno strumento per perseguire degli obiettivi e per questo deve essere ben organizzato e strutturato, efficiente ed efficace. Il PD si deve, perciò, far carico di formulare una proposta di legge per regolare finalmente il funzionamento dei partiti, così come la Costituzione indica, e che preveda il loro finanziamento con risorse pubbliche, così da renderli autonomi dalle lobby economiche ma anche dai contributi versati dagli eletti nei livelli istituzionali.

Fatta questa premessa, credo che in questa fase tanto delicata per il PD umbro, commissariato da oltre un anno, la ricomposizione del partito rivesta priorità strategica almeno quanto la definizione di un progetto per l’Umbria, obiettivi questi che devono camminare di pari passo.

Ritengo talmente importante la ricostruzione del partito che a livello regionale penso sia indispensabile dedicargli una risorsa che non abbia altri incarichi politici e istituzionali. Una persona che, con la necessaria cultura inclusiva e una leadership autorevole e riconosciuta, riesca a rimarginare le ferite che, nel tempo, le eccessive aspettative individuali e i personalismi hanno prodotto.

L’obiettivo è quello di tornare a essere il partito del confronto valoriale e progettuale, l’associazione politico-culturale in grado di attrarre le migliori intelligenze di cui l’Umbria dispone, e metterle a valore e al servizio di una società in crescente sofferenza.

L’Umbria che pensa e che lavora deve tornare a vederci come guida sicura e affidabile, come punto di riferimento politico; la storia del primo regionalismo, dei suoi valori progettuali e dei suoi uomini può esserci d’insegnamento.

Stante il punto di partenza di un partito tanto logorato, non possiamo permetterci di sbagliare. Non possiamo fare un congresso limitandoci a un cambio di segreteria senza un cambio di direzione e di paradigma. Le logiche logore e antagoniste del passato ci hanno portato a questo, non possiamo continuare sulla stessa strada come se nulla fosse accaduto. Con umiltà diciamo che abbiamo bisogno di tutti, che non lasceremo indietro nessuno e che, privilegiando conoscenze, competenze e attitudini, permetteremo a tutti di esprimere il proprio potenziale e il proprio protagonismo. Bisogni e sogni devono essere tenuti insieme da un sano pragmatismo del fare, ma che non deve mai essere subalterno o rinunciatario rispetto ai nostri ideali.

Quindi, come ricostruire un partito dalle fondamenta, portando in eredità le cose buone del passato, inserendo il nuovo che la contemporaneità ci impone?

Un partito a vocazione maggioritaria così come pensato e codificato alle origini, i cui pilastri valoriali fondamentali si basano sull’uguaglianza, la libertà e la solidarietà, ha il dovere di ricercare continuamente la sintesi e rendere compatibili, dal punto di vista progettuale e programmatico, sensibilità e priorità diverse tra le correnti di pensiero che lo compongono. Per fare questo, serve un partito dinamico, che sia in grado, attraverso i propri dipartimenti e con il coinvolgimento della comunità scientifica, di approfondire continuamente i temi.

Obiettivi tanto ambiziosi non possono prescindere da un congresso straordinario che rimetta al centro il tutto, un congresso quindi da svolgere in tutte le istanze, chiedendo l’azzeramento di tutti gli organi dirigenti ancora in carica, se pur legittimati, come gli statuti nazionale e regionale prevedono. Un congresso sperimentale che dalla nostra regione possa essere d’esempio e guida per tutto il PD. Molte delle forze e delle persone che nel tempo sono uscite dal PD, che si sono rifugiate nel civismo o che non credono più in noi, possono essere di nuovo coinvolte e motivate nel nostro partito se chiamate a organizzare la speranza per una nuova rinascita.

L’organizzazione politica del Partito deve essere parallela a quella istituzionale, nella dovuta distinzione dei ruoli: quello d’indirizzo per la politica e quello di governo per le istituzioni.

Le modalità di elezione statutaria degli organismi, anche se pur corretta a Bologna ridando ruolo agli iscritti, è su base competitiva, prevedendo auto candidature e liste contrapposte. In una fase di ricomposizione, se non di ricostruzione, come siamo attualmente in Umbria, continuare con pratiche divisive come quelle statutariamente previste, è un errore. Non servono leadership imposte a maggioranza che creano, per reazione, contrapposizioni e divisioni, ma un congresso che selezioni la migliore classe dirigente ricercando le figure che siano in grado di interpretare al meglio il ruolo assegnato.

Il PD dell’Umbria non può rinunciare a momenti formativi, sia sul piano tecnico gestionale che su quello più eminentemente culturale e filosofico. Il PD del Trasimeno, come avrebbe fortemente voluto chi ci ha prematuramente lasciato, può mettere a disposizione luoghi, organizzazione e risorse per avviare una formazione di base indispensabile a una classe dirigente che vuole tornare a governare l’Umbria e le sue città più importanti, con elementi di qualità che esaltino la nostra visione, sia sul piano culturale che su quello sociale.

I circoli, per quantità e qualità, dovranno essere ripensati. Troppi sono i cambiamenti socio-culturali della contemporaneità per immaginarli luogo immutato della politica. Dovranno essere spazi a disposizione di una comunità, luogo d’incontro, momento d’interazione multidisciplinare tra chi vuole condividere con altri il proprio impegno e la propria partecipazione dentro le dinamiche sociali.

Dipartimenti e Forum dovranno essere riattivati e dovranno essere il luogo del confronto e dell’approfondimento tematico; avranno lo scopo di far crescere competenze e di fornire alla direzione politica tutte le informazioni necessarie, utili prima di ogni decisione. Da questi luoghi di studio, dal confronto rispettoso con i mediatori culturali, economici e sociali, con la migliore società umbra, dovrà venire fuori la nostra idea di regione per i prossimi anni.

Il finanziamento al partito, in assenza di risorse pubbliche, dovrà essere garantito mediante forme integrative di finanziamento, stabilendo però una quota tessera molto più impegnativa rispetto all’attuale. L’iscritto deve poter contare di più ma se può, deve dare di più, in relazione al suo reddito.

Per valorizzare il ruolo degli iscritti e dei sostenitori, dovranno essere pensate forme di partecipazione diretta. Il referendum consultivo, previsto dall’attuale statuto, per esempio non è mai stato attivato. La tanto criticata piattaforma Rosseau dei 5S è un esempio di partecipazione diretta che ha in sé elementi innovativi che non vanno disconosciuti.

Con un pensiero finale, vi dico che se saremo capaci di dare gambe e testa a questa riflessione, il PD dell’Umbria potrà dare un grosso contributo alla ricostruzione di un’area culturale che crede nell’emancipazione, e tornare a essere incubatore d’innovazione e benessere sociale.

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