Risiede a Magione uno degli indagati nell’inchiesta della Procura di Milano secondo la quale la ‘ndrangheta avrebbe messo le mani sui contributi pubblici a fondo perduto post-Covid. Si tratta di un imprenditore di 33 anni che, secondo l’accusa, si sarebbe attivato per ottenere un prestito da 150 mila euro insieme al principale sospettato.
Il magionese non è comunque accusato di essere affiliato né di essere contiguo alle cosche e non è stato colpito da ordini di restrizione personale. In ogni caso, dopo le intercettazioni, sono scattate perquisizioni e sequestri nella sua residenza a Magione dopo che la Dda della Procura di Milano gli ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini.
Per gli indagati le accuse vanno dall’associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale aggravata dal metodo mafioso, all’autoriciclaggio. Quattro sono finiti in carcere, quattro ai domiciliari e altri 26 sono indagati. La Guardia di Finanza ha ricostruito la vicenda con la scoperta di fatture false per ottenere i fondi. L’inchiesta nel suo complesso ha svelato una complessa frode all’Iva nel settore del commercio di acciaio, attuata avvalendosi di una fitta rete di società cartiere e filtro, formalmente rappresentate da prestanomi.