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sabato 20 Aprile 2024
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Emanuele Petri ricordato dal suo paese a 20 anni dall’omicidio

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A 20 anni dal suo omicidio Tuoro sul Trasimeno ha ricordato Emanuele Petri, il sovrintendente capo della polizia di Stato ucciso in un conflitto a fuoco con le cosiddette nuove brigate rosse. In un intervento che portò all’arresto di Nadia Desdemona Lioce e al sequestro di materiale risultato decisivo per le indagini. A Tuoro, il centro umbro del quale era originario, Petri è stato ricordato dal capo della polizia Lamberto Giannini e dai sottosegretari all’Interno Emanuele Prisco e Nicola Molteni. Cerimonia che si è svolta alla presenza della vedova di Petri, Alma, del figlio Angelo e dei loro familiari. Presenti anche il prefetto Franco Gabrielli, il vicepresidente della Regione Umbria Roberto Morroni e il procuratore generale Sergio Sottani. Al teatro dell’Accademia di Tuoro è stato presentato il volume “Un poliziotto di nome Lele” dedicato alla storia e alla memoria del sovrintendente insignito della Medaglia d’oro al Valor civile.

“Quel giorno accadde ciò che temevamo. I brigatisti erano stati individuati e qualcuno avrebbe dovuti trovarli e fermarli. Lo ha fatto Emanuele Petri”: a ricordare cosa successe il 2 marzo di 20 anni fa è stato il capo della polizia Lamberto Giannini. Lo fatto a Tuoro sul Trasimeno, il centro umbro del quale era originario il sovrintendente ucciso durante il controllo in treno, lungo la linea Roma-Firenze, che portò all’arresto di Nadia Lioce e a recuperare elementi risultati decisivi per sconfiggere le nuove brigate rosse. Parlando dal palco del teatro dell’Accademia di Tuoro, Giannini ha voluto accanto il prefetto Franco Gabrielli che all’epoca dirigeva la digos di Roma mentre l’attuale capo della polizia guidava la sezione antiterrorismo. Davanti alla vedova Petri, Alma e molte autorità ma anche studenti. “Emanuele Petri e i suoi colleghi – ha detto Giannini – hanno fermato i brigatisti da bravi poliziotti, quelli che la domenica escono di pattuglia, stanno sui treni e controllano i cittadini. Sono bravi poliziotti e così capiscono che c’è qualcosa che non va, un documento seriale, e agiscono. Fermano le brigate rosse e riescono a spezzare una scia di sangue”.

Giannini ha sottolineato che i caduti “sono la carne viva dell’Amministrazione”. “Persone alle quali ci ispiriamo” ha aggiunto. “Questa vicenda, tragica e al tempo stesso ricca di significati, dimostra la semplicità e la straordinarietà del nostro lavoro” ha quindi detto Gabrielli. “E’ dalle piccole cose che si fanno le grandi” ha aggiunto. Il prefetto ha ricordato come all’epoca il gruppo di terroristi venne definito “un cenacolo di disperati, che aveva però segnato le vite di tante persone”. “Stavano segnando profondamente – ha detto ancora – un Paese fragile, tutte le volte preso dal turbinio delle situazioni senza capire che invece dovrebbe esistere una forza, quella delle Istituzioni e delle persone che le rappresentano”. “La sicurezza non è appannaggio di una parte – ha detto ancora Gabrielli – o di un qualcuno ma un bene che appartiene a tutti noi e come tale dobbiamo salvaguardarlo anche e soprattutto nel nome di chi come Emanuele Petri e tanti altri hanno dato la vita”.

Al teatro dell’Accademia di Tuoro sul Trasimeno è stato presentato il volume “Un poliziotto di nome Lele”. Realizzato dall’Ufficio comunicazione del Dipartimento della Pubblica sicurezza, è dedicato alla storia e alla memoria di Emanuele Petri, ed è stato curato dalla scrittrice Cinzia Corneli, dal giornalista Giovanni Bianconi e dall’ispettore di Polizia Ugo Bonelli. Alla cerimonia hanno partecipato, oltre al capo della polizia, i sottosegretari del Ministero dell’Interno on. Nicola Molteni e on. Emanuele Prisco, il prefetto di Perugia Armando Gradone, il presidente dell’Assemblea legislativa Marco Squarta, il questore di Perugia, Giuseppe Bellassai e il sindaco di Tuoro sul Trasimeno, Maria Elena Minciaroni. In sala una rappresentanza degli allievi del 220/o corso dell’istituto per sovrintendenti “Rolando Lanari” di Spoleto e degli studenti dell’istituto comprensivo “Dalmazio Birago”. La commemorazione si è conclusa presso il cimitero di Vernazzano dove il capo della polizia ha deposto una corona d’alloro.

Emanuele Petri era “uno di noi, un ottimo poliziotto, un questurino”. Così il capo della Polizia Lamberto Giannini ha voluto ricordare a Castiglion Fiorentino Emanuele Petri, il sovrintendente ucciso dalle Br il 2 marzo 2003 sottolineando che avrebbe “certamente poteva insegnare quali sono i valori della democrazia, di tutela della libertà e quali sono i valori per i quali tutti noi che indossiamo una divisa giuriamo di difendere fino alla fine, come ha fatto Emanuele”. Petri, ha aggiunto Giannini, era una persona che, “sembra una cosa banale ma non lo è, la domenica invece di stare con la famiglia esce di casa con la volontà ferma di fare il proprio dovere a qualsiasi costo e paga per intero questo costo”. Ma Petri è anche un poliziotto che “è riuscito a fare qualcosa di grande, qualcosa che poi è segnato nella storia di questo Paese perché – ha spiegato il capo della Polizia – il suo sacrificio è stato decisivo e determinante per stroncare una ripresa del terrorismo interno che stava iniziando a fare proseliti”. Dunque, ha concluso Giannini, “era una persona sicuramente eccezionale per la propria famiglia, un marito e un padre esemplare. E per noi era un ottimo poliziotto, uno di noi, un questurino”.

“Fare memoria di quanto accaduto venti anni fa a Emanuele Petri equivale a celebrare tutti quegli uomini e donne dello Stato che caduti in servizio”: a sottolinearlo è stato il sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco al termine della cerimonia a Tuoro sul Trasimeno. “Il monito nei confronti della criminalità e del terrorismo è che lo Stato non arretra” ha aggiunto. “Un obbligo morale – ha sottolineato Prisco – nel rispetto delle famiglie delle vittime del terrorismo e del loro sacrificio. Ricordare il sacrificio di Emanuele, che allora consentì di arrestare i brigatisti responsabili dei delitti Biagi e D’Antona, significa valorizzare il sacrificio delle donne e degli uomini che ogni giorno, con fierezza, svolgono il proprio compito anche a rischio della propria vita. E oggi siamo qui proprio per testimoniare la vicinanza e la riconoscenza dello Stato e di una intera comunità”.

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